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"Paese mè, 'n te pozze mai scurdà ...".Le semplici, toccanti parole della celeberrima canzone popolare abruzzese "Paese mè", del M.o Antonio Di Jorio, sono l'espressione più genuina per descrivere il profondo ed indissolubile vincolo affettivo che lega ogni uomo, per tutta la sua esistenza, al paese natio.

Questo sito è dedicato a tutti gli abruzzesi che vivono lontano dalla loro terra e si propone, per quanto possibile, di offrire loro le immagini più significative dei luoghi in cui hanno visto la luce e mosso i primi passi.
 
 
 
 
 
 
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Pag. 1 - PREFAZIONE E PRESENTAZIONE

 

 

Prefazionedel Prof. Giuseppe Profeta

I Proverbi e il dialettoPresentazione dell'Autore


 

Prefazione

 

I PROVERBI ATRIANI DI DON GIUSEPPE DI FILIPPO

Presentazione del Prof. Giuseppe Profeta del libro "Proverbi, Modi di dire e Cantilene", pubblicato da Mons. Giuseppe Di Filippo nell'anno 2004.

L’opera che presentiamo illustra alcuni aspetti della vita tradizionale-popolare di Atri. Ne è autore Don Giuseppe Di Filippo, canonico della cattedrale, che ha firmato altre pubblicazioni di interesse locale. Essa si intitola "Proverbi, modi di dire e cantilene" e contiene la registrazione e il commento di numerosi proverbi locali, che formano la prima parte, e la presentazione in versi dialettali di "Alcuni tipi atriani del nostro recente passato", che costituisce la seconda parte. Aprono l’opera una introduzione esplicativa e una poesia in dialetto sui proverbi. Completano il tutto quattro fotografie dei personaggi descritti.

Il più ampio degli argomenti trattati nel libro è quello paremiologico, un capitolo della letteratura popolare universale, antico quanto l’umanità, tanto che tracce di esso si trovano nelle più semplici espressioni letterarie dei primordi e nella Bibbia. Ma è anche presente nelle opere descrittorie recenti, come testimonia la grande raccolta di proverbi di Giuseppe Giusti. Ma quel che più conta è il fatto che i proverbi sono presenti nella letteratura popolare e nella pratica quotidiana di tutti i popoli.

Nella seconda parte del libro, l’autore, dal grande mondo dei proverbi dove il moralmente conforme e convergente domina sovrano, passa al piccolo mondo dei "personaggi" particolari, difforme e divergente, e ci offre una interessante descrizione di macchiette locali, che completa per contrasto in quadro della vita cittadina.

Con la presente pubblicazione, Don Giuseppe Di Filippo ci ha offerto una preziosa raccolta di proverbi popolari atriani di uso quotidiano. Essa è composta di quasi duecento esemplari, di cui una quarantina sono modi di dire proverbiali.

E’ indicativo il fatto che soltanto una ventina di questi proverbi è registrata nell’opera di Giuseppe Porto intitolata "Proverbi abruzzesi", che è la raccolta più ampia svolta in Abruzzo in questo campo. Particolare questo che dimostra l’intelligente impegno che l’autore ha messo nella ricerca di elementi strettamente locali, che è poi il compito metodologicamente imperativo in questo tipo di ricerca.

D’altra parte quello dei proverbi, pur appartenendo ad un dominio areale amplissimo, conserva spesso anche interessanti particolarità locali, che Don Giuseppe Di Filippo ha saputo individuare e riesprimere nella maniera dovuta. E come è sapido riascoltarle ancora impreziosite dalle cadenze dialettali recuperate dall’autore, quasi a riprodurre la viva voce degli anziani di ieri e di oggi!

La pubblicazione del volume avviene in un momento opportuno, perché, nonostante le numerose riproposte ad uso turistico, la cultura tradizionale-popolare va sempre più naufragando nel fluttuare assordante della vita moderna. Essa però presenta ancora filoni ricchi di valenze umane che non devono andare perduti; anche se, nella trasformazione profonda che una tecnologia esasperata ha portato nei nostri costumi, la loro antica funzione viene in parte sostituita dall’azione della scuola e dei mass media, nonché dalla diffusione di manuali del "come vivere",che molte case editrici vanno pubblicando. Ma la gente non ha perduto del tutto il gusto dell’antico e del tradizionale, anche perché questi valori fanno parte integrante della nostra identità individuale e sociale ed inviano ancora caldi messaggi alle persone più sensibili.

Il proverbio è il risultato di un’armoniosa alleanza tra pratica e teoria, tra esperienza e riflessione. Esso, problematico ed assertivo, conserva e trasmette, servendosi di tecniche espressive varie, una saggezza avita, che deriva dall’esperienza quotidiana di tutto un gruppo umano, perché scaturisce dalla riflessione di tutti i ceti sociali, in quanto le formule proverbiali hanno radici non solo popolari ma anche culte.

A tale proposito Pio Rajna, acuto studioso di letteratura popolare, sosteneva che, nonostante la maggiore diffusione tra i ceti popolari ed umili, ci sono molti proverbi di origine culta. Essi si riconoscono specie quando presentano quella complessità contenutistica ed espressiva che contrasta con la mentalità elementare del popolo. E faceva l’esempio di un proverbio molto diffuso che suona così: Dio non è mercante che paga il sabato. D’altra parte si sa che, attraverso la dinamica culturale, elementi "culti" discendono spesso negli strati "popolari" e viceversa.

E’ opportuno ricordare che, oltre i valori sapienzali e gnomici, che appartengono al campo della filosofia istintiva e del buon senso, la paremiologia rientra anche nel campo della letteratura popolare per quanto riguarda la forma e la forza espressiva, la lingua e lo stile. Per questo motivo, il suo studio richiede un’attenta cura anche sotto questo profilo, sapendo che la letteratura popolare, specie in questo campo, presenta aspetti non solo complessi ma anche contraddittori, tanto che il citato Rajna la denominava, con un bisticcio espressivo, "Letteratura degl’illetterati".

Raccogliere queste massime della tradizione orale e trascriverle fedelmente con le varie sfumature vernacolari, come se fossero colte dal respiro della gente e ne esprimessero ancora l’anima, è opera che solo un cittadino fedele ai luoghi del suo vivere quotidiano può realizzare. Porre questi documenti in ordine alfabetico, offrire di essi una traduzione in italiano, spiegarli e commentarli, è opera di paziente impegno ma anche d’amore filiale, che merita considerazione e gratitudine.

Io non mi attarderò a riferire sulla storia della letteratura paremiologica, né sulle sue espressioni regionali, nazionali ed internazionali, né sullo stile e sulla struttura dei proverbi, perché ognuno può trovare notizie al riguardo nei numerosi manuali specializzati e sulle enciclopedie correnti, ma non posso tralasciare di riferire che esistono raccolte di proverbi in ogni paese e che addirittura si pubblica in Finlandia una rivista intitolata "Proverbium", che ha autorevole diffusione internazionale. Tanto il problema è considerato importante.

D’altro canto si sa che il recupero della cultura e dei proverbi, come ogni tentativo di collegamento con la cultura tradizionale, è una operazione di alto valore morale oltre che culturale, che non può non produrre risultati benefici sottovari aspetti. Si aggiunga che lo studio del passato serve a rafforzare il fondamentale legame con le generazioni che furono e che espressero, attraverso i molteplici aspetti della loro cultura, una visione del mondo, che sarebbe insipiente non conoscere. Tra l’altro questo recupero allontana il pericolo di un vuoto culturale, e, con esso, un horror vacui che reca con sé un grave turbamento esistenziale, perché il passato è parte fondamentale della nostra identità psico-fisica, e non può essere trascurato.

E’ bene sottolineare anche che la presente pubblicazione non solo recupera e mette a disposizione della gente comune un patrimonio di saggezza e di buon senso del nostro passato,ma offre agli studiosi documenti di letteratura orale e di demologia periferica, che serviranno a tracciare quella grande storia dell’antropologia della nostra regione, a cui tutta la intellighènzia locale è tenuta a collaborare.

Senza dire che questi documenti arricchiscono il patrimonio letterario della nobile città di Atri, che possiede una tradizione culturale ragguardevole. Infatti essa ha espresso nel passato vari scrittori, tra cui alcuni sacerdoti, e, di recente, ha dato l’affettuoso addio a Don Luigi Illuminati, grande latinista universitario, che non disdegnava intrecciare alla storia critica delle letterature classiche e agli austeri versi latini anche saporite poesie dialettali.

Per tutti questi motivi, si può ben dire che, dopo la pubblicazione di questo libro di demopsicologia abruzzese, la storia culturale della città di Atri appare più ricca e più interessante. Così si può ripetere quanto proclama un antico detto, che cioè le buone opere dei cittadini singoli onorano anche la città tutta.

Teramo, Settembre 2003

Giuseppe Profeta
Professore ordinario di Sociologia a r. nell’Università già
Professore ordinario di Discipline demo-antropologiche.
Libero docente in Storia delle tradizioni popolari.

 


 

 

Presentazione dell'Autore

 

I PROVERBI E IL DIALETTO

I proverbi sono la sapienza dei popoli, sono il concentrato di una filosofia popolare che racchiude l’esperienza di secoli e riporta, in una breve sentenza, la maturazione di un pensiero che si è mostrato veritiero nei tempi. Perciò il proverbio è saggio e trova il suo riscontro nella realtà di ogni giorno.

L’abbondanza dei nostri proverbi indica la saggezza del nostro popolo. Alcuni di questi sono originalissimi nella loro forma e perciò quasi intraducibili.

Purtroppo però, con il degrado del dialetto, stanno scomparendo anche le espressioni dialettali che connotavano le forme proverbiali, una volta tanto in auge. Si rischia così di perdere, tra non molto, tutta una cultura che aveva come supporto anche queste espressioni.

Occorre perciò correre ai ripari e salvare quello che è possibile prima che tutto vada perduto.

Il dialetto non deve avere l’ostracismo da parte di quelli che si considerano più dotti, quasi si trattasse di un modo di parlare ormai sorpassato che non ha nulla più da dire ai moderni. Il dialetto non è un modo volgare di esprimersi, ma rappresenta la tradizione del nostro popolo, il mezzo attraverso il quale si sono espressi anche i cittadini più colti e del quale si sono serviti per stagliare situazioni e concetti tra i più vicini alla vita reale.

Prendiamo esempio dai Veneti, dai Lombardi, dai Romagnoli i quali considerano la lingua italiana come una lingua alternativa al dialetto che parlano volentieri anche al di fuori dei momenti di confidenza e di colloquio privato. Il dialetto infatti è una lingua concisa che riporta le connotazioni particolari di una etnia che si è espressa in maniera differente dagli altri per motivi che derivano spesso dall’ambiente, dalle circostanze e da situazioni non sempre verificabili altrove.

Ho fatto queste premesse per giustificare il motivo per cui mi sono accinto a fare questo lavoro e cioè, pubblicare per conservarne la memoria, i più tipici proverbi e modi di dire che i nostri padri hanno usato nel genuino dialetto atriano. Ci tengo a dire che, volutamente, ho riportato le espressioni tipicamente atriane, rifiutandomi di riferire quelle che, essendo usate anche nella lingua italiana, potessero sembrare una traduzione in dialetto delle stesse.

Ritengo doveroso precisare che, forse, tra i proverbi presentati ce ne può essere qualcuno che avrebbe avuto una collocazione più pertinente tra i "modi di dire". Ne chiedo venia al lettore facendo presente però che, tra il proverbio e il modo di dire non sempre è intuibile quella demarcazione che li rende distinti.

Penso di aver fatto una cosa buona perché, conservando il patrimonio culturale del passato, che sarebbe invece scomparso definitivamente, si salva tutta una tradizione di saggezza e di arguzia che è appartenuta ai nostri antenati e ha contribuito a far grande la nostra terra.

Ho riletto, per la circostanza, il libro del prof. Giuseppe Porto, pubblicato dall’editore Martello nel 1968 e sponsorizzato dalla Tercas. Il libro riporta ben millecinquecento proverbi abruzzesi e molisani, quindi un numero enorme di espressioni dialettali. Mi sono compiaciuto con me stesso perché, soltanto una ventina di proverbi da me riportati, sono contenuti nella pubblicazione suddetta e, alcuni di questi, formulati anche con dicitura diversa.

Allo scopo di rendere più comprensibili le espressioni dialettali non mi sono limitato alla loro traduzione in lingua italiana, ma ho cercato anche di spiegarne il significato specialmente per quei termini che, non più usati da anni, avrebbero reso non percepibile il senso della frase. Ne è venuto fuori anche un trattatello di filosofia morale popolare che, spero, non annoi il lettore.

Mi scuso se il mio lavoro non è esaustivo, se cioè non sono stato capace di riportarne di più, d’altronde le persone più anziane, quelle che hanno parlato il dialetto e da cui abbiamo appreso i vecchi proverbi, sono ormai scomparse e non ci sono altre fonti originali da cui poter attingere.

Inizio la raccolta con una breve poesia sui proverbi, scritta più di quindici anni fa e ritrovata tra le mie carte sparse.

E’ evidente che allora non immaginavo di fare questo lavoro e perciò la poesia non risente dell’influsso della raccolta. Mi sembra però che sia adatta a presentare adeguatamente tutto l’insieme perché ne configura bene la dimensione.

La seconda parte, che intitolo "Alcuni tipi atriani", comprende certe altre poesie, sempre in dialetto, su alcuni atriani che hanno dato una nota caratteristica al nostro paese, in un determinato periodo. I primi tre, non completamente maturi mentalmente, hanno però dimostrato di avere un pizzico di arguzia che ogni tanto affiorava dalla loro testa bislacca. Il quarto, invece, Tommaso Antonelli sagrestano della Cattedrale di Atri, è totalmente diverso. Dotato di una intelligenza brillante, si faceva notare per la sua sagacia che esprimeva spesso con tono sarcastico e in modo spassoso e confidenziale. Se avesse fatto degli studi regolari avrebbe senz’altro fatto parlare di sé e avrebbe lasciato un’orma ancora più tangibile.

Ringrazio il carissimo amico, Maestro Federico Tamburri il quale, con la sua arte sopraffina e con la solita gentilezza, ha voluto dotare queste pagine di alcuni bozzetti che illustrano vari proverbi e modi di dire. Viene resa, così, più interessante la lettura che diventa più piacevole e partecipata anche con la riproduzione delle fotografie dei "personaggi" che, almeno per alcuni di noi, sono ancora vivi e presenti nella memoria.

Dedico questo libro alla mia città di Atri e ai suoi abitanti che esorto vivamente a non buttar via il dialetto, retaggio della nostra cultura e intimo legame con il nostro passato.

                                                                                          L'Autore

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